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Hacker – OpenSource e CyberAntropologia

articolo di Stefano Mele, avvocato specializzato in Diritto Amministrativo e Diritto dell’Informatica e delle nuove Tecnologie. Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Foggia. Esperto di spionaggio elettronico e Computer Forensics. Socio fondatore del CapitanLUG (Capitanata Linux User Group)

  • Il rapporto con il denaro

Ma a questo punto è lecito farsi una domanda. Perché gli hacker sviluppano software da rilasciare liberamente (e gratuitamente) in Rete? E, conseguentemente, qual è il loro rapporto con il denaro?

In un’epoca come quella in cui viviamo, basata sul principio economico della massimizzazione dei profitti, suona certamente strana l’ideologia hacker dello sviluppo di progetti anche mastodontici, come lo è sicuramente il sistema operativo GNU/Linux, in cui il denaro non riveste il ruolo di fattore propulsivo del lavoro, anzi lo stesso viene distribuito in Rete, nella maggior parte dei casi, in maniera del tutto gratuita. Ci troviamo, allora, non soltanto di fronte ad un capovolgimento degli schemi legati al lavoro, ma anche a quelli legati al denaro. E, ancora una volta, la passione è il motore di questa rivoluzione, laddove le motivazioni sociali rivestono il ruolo di ipotetiche ruote di questo movimento e la GPL, la licenza con cui viene rilasciato il software libero, ne è il carburante.

Ancora una volta Eric Raymond ci viene in aiuto, svelandoci, in un suo scritto del 1998 “Homesteading the Noosphere”, che gli hacker sono motivati da una sorta di “riconoscimento tra pari”.

Condividere infatti una stessa passione con altre persone ed essere riconosciuto come un esperto di determinati temi è la leva psicologica che solleva e sostiene il mondo di un hacker. Ecco cosa c’è di più soddisfacente del denaro!

Per hacker come Linus Torvalds non sono né il lavoro e né il denaro a motivare l’organizzazione dello sviluppo del kernel di Linux (immaginate il kernel come il cuore pulsante di ogni sistema operativo, su cui si “appoggiano” tutti gli altri programmi), ma sono la passione ed il desiderio di creare qualcosa di socialmente utile ed apprezzato.. e di esserne riconosciuto come il creatore nella comunità di tecnici. Pekka Himanen, nel suo libro, sottolinea come “è proprio questo legame tra il livello sociale e quello passionale che rende così efficace il modello degli hacker, che realizzano qualcosa di molto importante a partire da profonde motivazioni sociali. In questo senso gli hacker contraddicono lo stereotipo di asocialità che è stato spesso loro affibbiato”.

Ciò detto, però, non si deve fare l’errore di credere che gli hacker siano dei semplicioni, rinchiusi in una utopica visione della società e del denaro. Per fortuna non si tratta di persone ingenue! E’ pacifica in loro la consapevolezza che, soltanto attraverso ingenti capitali, un hacker può raggiungere quella completa libertà mentale e fisica necessaria a far vivere la propria curiosità e la propria creatività.

Steve Wozniak, di cui accennavamo prima, ne è un esempio. Creatore dei primi personal computer, gli Apple, andò via dalla società soltanto sei anni dopo la sua costituzione, forte di una tranquillità economica che tuttora gli permette di vivere, come egli stessi dice, “con le cose che amo di più: ovvero i computer, le scuole e i bambini”.

Quello che vorrei fosse chiaro è che non è eticamente deplorevole per un hacker accumulare ricchezza attraverso le regole del capitalismo tradizionalmente conosciuto. Ed infatti, molti dei business più riusciti nel campo della tecnologia, sono stai realizzati proprio dagli hacker.

Qualche esempio?! SUN Microsystems, fondata nel 1982 da quattro studenti universitari particolarmente creativi e legati dalla semplice passione per la programmazione.

Ancora, la Micorsoft di Bill Gates (non so se la conoscete!!), cofondata nel 1975 con l’amico Paul Allen, con il semplice obiettivo di creare – per passione – linguaggi di programmazione per personal computer. “Era un punto di vista hacker – sottolinea Ceruzzi nel suo scritto “A History of Modern Computing” – dal momento che solo gli hacker usavano queste macchine per programmare”.

Pensate un po’, c’era un tempo in cui il cosiddetto ‘nemico numero uno degli hacker’ di tutto il mondo, Bill Gates appunto, era lui stesso un hacker, come lo sarebbero stati Torvalds e tanti altri prima e dopo di lui, in conseguenza della realizzazione di un interprete del linguaggio BASIC molto apprezzato dalla comunità hacker.

Purtroppo però l’idiosincrasia dei termini ‘hacker’ e ‘capitalismo’, tende nel lungo periodo a risolversi con la predominanza della motivazione del profitto sulla passione. Ed è così che, quando la passione non è più il metro di scelta dei propri progetti, questi vengono inevitabilmente scelti a seconda del miglior guadagno ipotizzato e non vengono più dettati dalle proprie esigenze creative o dalle esigenze sentite dalla comunità. L’inevitabile punto di arrivo è quello della produzione di codice e, più in generale, di prodotti software scadenti.

  • Il rapporto con l’informazione e la conoscenza

Siamo adesso pronti ad affrontare quello che è il punto di forza e di svolta nel pensiero degli hacker. Solo adesso abbiamo quelle fondamenta filosofiche ed antropologiche adatte ad analizzare l’atteggiamento che questi soggetti hanno verso l’informazione e la condivisione della conoscenza.

Richard Stallman, il padre spirituale del pensiero libero, da sempre combatte per dare alla parola free il giusto significato. Questo termine, infatti, non si sostanzia nell’immediatezza della parola italiana gratuito, ma implica una libertà sensibilmente più ampia.

Sinteticamente Stallman, parlando del software libero, racchiude questo ampio concetto nella frase: “libero come il pensiero, non gratis come una birra offerta da un amico”. Si nota subito come, a detta di Stallman e dei seguaci del Free Software, il software libero abbia come unico limite quello del pensiero e, ancora una volta, quello della creatività dell’hacker. E’ solo come conseguenza di questa quasi illimitata libertà che questo tipo di software risulta essere anche gratuito!

Nel suo saggio “The Cathedral and the Bazaar”, Eric Raymond ha realizzato un ampio e puntuale raffronto tra il modello di sviluppo aperto del software per Linux e quello chiuso della maggior parte delle aziende, paragonandoli appunto ad una cattedrale e ad un bazar.

Credevo che il software più importante – dice Raymond, ricordando i suoi primi passi in questo mondo – dovesse essere realizzato come le cattedrali, attentamente lavorato a mano da singoli geni o piccole bande di maghi che lavoravano in splendido isolamento, senza che alcuna versione beta vedesse la luce prima del momento giusto” e ancora “la comunità Linux assomigliava a un grande e confusionario bazar, pullulante di progetti e approcci tra loro diversi. […] lavoravo sodo cercando di capire come mai il mondo Linux non soltanto non cadesse preda della confusione più totale, ma al contrario andasse rafforzandosi a velocità quasi inimmaginabili per quanti costruivano cattedrali”.

Quello che sfuggiva a questa sua prima analisi del fenomeno era l’importanza della molteplicità dei punti di vista. Quando, infatti, le idee vengono ampiamente diffuse, possono sempre beneficiare e rafforzarsi col tecnicismo critico degli altri utenti, mentre, quando vengono gettate le basi per una cattedrale, questa non potrà più essere cambiata. Nel bazar, nel momento in cui qualcuno arriva alla soluzione di un problema, il destinatario di quella soluzione avrà il diritto di sperimentarla, di apprezzarla e nel caso anche di correggerla liberamente. Ciò è possibile, badate bene, solo se il ragionamento che ha portato a quella soluzione (nel nostro caso i sorgenti del software) viene trasferito con essa.

Questo è il software libero! E Pekka Himanen, nel suo libro, nuovamente ci riporta ai tempi di Platone, riscontrando ancora una volta un collegamento storico con la synusìa dell’Accademia platonica, “che comprendeva l’idea dell’avvicinamento alla verità attraverso il dialogo critico”. Nell’Accademia di Platone, infatti, gli studenti “non venivano considerati come obiettivi per la trasmissione della conoscenza, ma come compagni di apprendimento. Nella concezione accademica, il compito principale dell’insegnamento era quello di rafforzare l’abilità dei discepoli nel porre problemi, nello sviluppare linee di pensiero ed avanzare critiche”.

Così, quando un hacker studia il codice sorgente di un programma, spesso tende a modificarlo o a svilupparlo ulteriormente; a loro volta, altre persone impareranno da questo suo lavoro e ricominceranno questo ciclo. Ancora, quando un hacker legge la documentazione divulgata in Rete, spesso aggiunge ciò che è stata la sua esperienza con quel software.

Cerca soluzioni e si pone continuamente altre domande, in una costante ricerca critica, evolutiva ed appassionata. Questo è un hacker! Questi sono gli ideali e l’etica che ci rappresentano.

Concludendo, allora, il primo ringraziamento voglio farlo io.. e voglio farlo soprattutto a voi, che, investendo il vostro tempo nella lettura di questo testo, mi avete dato proprio quel riconoscimento così tanto agognato da ogni hacker.. ricompensando il mio lavoro con l’unica moneta che ha più valore del denaro stesso.