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Conclusioni: perchè non restare fedeli alla TEI...

Si ritiene però utile approfondire ancora un concetto fondamentale, che può essere passato in precedenza forse in modo troppo blando, quasi come fosse un dato acquisito, e che invece è da sottolineare con vigore: il motivo per cui non restare fedeli alla TEI, e il perché andare alla ricerca di nuove marcature XML. Il problema che si intende suscitare è: che cosa si vuol realmente ottenere da un apparato critico elettronico?

Secondo la TEI, o forse, meglio, seguendo la TEI, ci si ritroverebbe inevitabilmente con in mano un prodotto elettronico che rispetta degli standard ed è fortemente gerarchizzato, ma che praticamente vuole essere e risulta essere una mera riproposizione elettronica dell’aspetto tipografico dell’edizione critica, del documento cartaceo di riferimento, o che comunque anche quando inserisce marcature logiche o che favoriscano l’analisi critica, tiene sempre anche presente l’aspetto formale e tipografico dell’impaginazione del testo di partenza, creando un mix  (in un contesto fortemente gerarchizzato, com’è l’albero SGML) a volte controproducente, al punto che si rischia di mischiare forma e sostanza, testo e documento, concetto e sua/sue possibile/i rappresentazione/i. Mentre l’obiettivo che noi ci si è posti andando a “cercare”, creare e ad applicare nuove marcature XML è stato quello di riprodurre in formato elettronico, invece, il testo con la sua logica, più che con la sua immagine, forma od apparenza. Anzi forse proprio solo la logica che sottende al testo stampato.

D’altronde già Dino Buzzetti, durante il Seminario di studi intitolato "Soluzioni informatiche e telematiche per la filologia",  svoltosi a Pavia il 30 e il 31 marzo 2000, affrontando il problema delle edizioni digitali, in opposizione all'edizione strutturata come database, aveva discusso dei limiti posti dalla TEI (che ricordiamolo è – seppur ormai standardizzata – sempre e comunque una DTD SGML per la codifica dei testi umanistici), soffermandosi sul concetto di mark-up come sistema per assegnare espressione al testo e sul mark-up TEI come codifica della struttura del testo. A questo proposito – secondo Buzzetti – risulta evidente il rapporto fra mark-up che dà un costrutto sintattico e notazionale e il database che fornisce invece il formalismo per lavorare sulle strutture dei dati. Da qui deriva il binomio opposito espressione e contenuto; se il mark-up parla del “testo” (espressione) all'interno del testo, allora ne fa parte, se invece parla del “contenuto” non fa parte del testo. Di qui l'opposizione, secondo Buzzetti, fra il filologo e il critico del testo, che si pongono diversamente sull'interpretazione del medesimo testo: il testo inteso come stringa di caratteri contro il testo inteso in termini letterari, che veicola quindi una serie di informazioni che esulano dalla sequenza di grafemi.
Certo Buzzetti si spinge oltre, andando quasi ad affermare che l’SGML non serva alla critica del testo, ma solo al filologo inteso come pedissequo ricopiatore o ricostruttore di un testo monolitico, che è quasi immagine, aspetto di se stesso.

In realtà è chiaro che sarà indispensabile non fermarsi alla marcatura, e non restare dentro il letto di Procuste della gerarchia rigida dell’SGML, che sta alla base di XML e di TEI; così come è probabile che forse la visione del filologo così nettamente separata da quella del critico sia forse obsoleta, ed in ogni caso auspico comunque superabile. Ed è senz’altro comunque da sperare che si possa effettuare in futuro (ma già oggi alcuni, come Federico Boschetti con i testi critici greco-classici, stanno facendolo e sperimentandolo con successo) l’utilizzo dei dati marcati ed ordinati con i tags che proponiamo (od annunciamo come realizzabili) in questo lavoro, anche all’interno di data-base, gestiti e gestibili con altri programmi più fluidi, come ad esempio ha dimostrato di saper già fare alla fine del secolo appena trascorso Manfred Thaller del Max-Planck-Institut di Goettingen, con il database Kleio, nato per l'elaborazione dell'informazione storica, che consentiva non solo di editare tutti i testimoni della tradizione testuale ma anche di realizzare un'edizione strutturata, vale a dire di rappresentare tradizioni testuali di tipo fluido, di costruire cioè "un'edizione come database". In più Kleio aggiungeva la possibilita' di affiancare testo elettronico ed immagine digitale anche per porzioni di entrambe e per ciascuna lezione variante, dimostrando quindi la concreta possibilità di una rappresentazione strutturale non lineare del testo.

Non si può però negare che c’è una evidente diversità di prospettive e di finalità, ma anche di esiti, fra il sistema di marcatura rigidamente proposto dalla TEI per i testi critici e quello che abbiamo sperimentato. E la differenza consiste proprio nel nostro prediligere marcature logiche, funzionali, e mai tipografiche: al punto che l’impaginazione del testo non è neanche considerata, e viene in toto demandata a successivi fogli di stile. Ben diversamente da quanto fa TEI, che invece la presuppone quasi di default.

Ma proviamo ad entrare nel particolare, e a vedere alcuni esempi pratici di quanto asserito, effettuando ad esempio un paragone fra le nostre DTD e le indicazioni più specifiche che offre la TEI.P4 nel capitolo 19, dedicato al “Critical Apparatus”.

Trattando infatti delle "scholarly editions of texts, especially texts of great antiquity or importance", il capitolo 19 della TEI P4 sottolinea come esse "often record some or all of the known variations among different witnesses to the text", e – molto meccanicamente, con grande attenzione al livello materiale del problema – annota come i "witnesses to a text may include authorial or other manuscripts, printed editions of the work, early translations, or quotations of a work in other texts. Information concerning variant readings of a text may be accumulated in highly structured form in a critical apparatus of variants". Il problema TEI lo pone e lo risolve così, offrendo un'integrazione alla sua DTD che "defines an additional tag set for use in encoding such an apparatus of variants, which may be used in conjunction with any of the base tag sets defined in these Guidelines. It also defines an element class which provides extra attributes for some elements of the core tag set when this additional tag set is selected". Ma si tratta di marcatori che rispondono soprattutto ad esigenze di rappresentazione documentale, oppure che sono frutto di un precedente studio, che prima l'implementatore della versione elettronica fedele alla TEI deve aver eseguito, per poterlo poi trasferire nei marcatori, parecchio complessi e per nulla “automaticamente” o velocemente attribuibili, diversamente da come invece abbiamo potuto fare noi con l'apposizione del tag <r>, ad esempio, ai responsabili delle lezioni riportate nell'apparato Rossbach che abbiamo marcato.

In effetti TEI ha sempre un occhio di riguardo al livello meramente fisico, cerca sempre come sua base di partenza di rappresentare nel formato elettronico la medesima forma apparente, documentale, del testo cartaceo che va a digitalizzare, evidenziando anche in fase teorica soprattutto problemi materiali o grafici, cause meccaniche. Il compilatore ligio ai dettami TEI pertanto deve organizzare il lavoro in modo opposto, rovescio, rispetto a quanto abbiamo invece fatto noi nel nostro approccio all’apparato critico di Rossbach del Liber prodigiorum di Giulio Ossequente, che – operando esattamente al contrario – siamo partiti da criteri di marcatura omogenei e da quelli poi abbiamo desunto in automatico le notizie che potevano scaturire, come il già possibile e ricordato elenco dei responsabili di lezioni citati dal Rossbach, che in pochi minuti può essere facilmente desunto dal testo marcato. E addirittura il nostro auspicio sarebbe quello di potere in futuro applicare marcature e rielaborazioni che diano – sulla scorta dei tags che proponiamo – concreti prodotti, come appunto le liste dei responsabili delle lezioni, ma anche come tutti gli altri utili materiali recuperabili, anzi, meglio, producibili in modo meccanico: indici delle forme; lemmari; indici per autori o per proposte di congetture; elenchi ed indici di cose, luoghi, ecc…

Per raggiungere questi obiettivi l’utilizzatore del sistema di marcatura proposto dalla TEI deve invece prima “farseli” e poi “copiarli in bella copia” all’interno degli appositi spazi nei tags pensati per contenere queste informazioni. Una bella differenza di prospettiva: da parte nostra un tentativo di semplificare, ridurre ed automatizzare il lavoro; da parte TEI invece la rigida necessità di incasellare nelle gerarchie dei marcatori le informazioni di cui già si disponeva.

Ma che TEI abbia un’indubbia preferenza per gli aspetti visivi del testo che vuol rendere in formato elettronico lo conferma anche, come ulteriore esempio, il dilungarsi, nel capitolo dedicato agli apparati critici, alle problematiche relative alla collazione dei manoscritti. In cui i redattori della DTD TEI P4 si pongono anche problemi che spesso non sono poi così funzionali al vero sugo del testo, ma piuttosto alla sua storica rappresentazione iconografica. Come quando affrontano, risolvendolo, il problema di consentire di segnalare, con apposita (e a mio modesto avviso anche ridondante) marcatura se vi sia oppure no nel manoscritto presenza di lettere capitali miniate, riportando nel Manuale la pratica risoluzione ad un problema a dir il vero poco concettuale/logico, e molto visivo/documentale: “<witDetail target='W026' resp='PR' wit='El'>Ornamental capital.</witDetail>. This encoding makes clear that the ornamental capital mentioned is in the Ellesmere manuscript, and not in Hengwrt or Ha4” (informazione a dir il vero prolissa).

Ma più in generale il limite che notiamo nelle linee guida di TEI è quello di lavorare apponendo etichette concrete su oggetti formali; mentre noi abbiamo cercato di privilegiare invece l’apposizione di etichette logiche (oppure concrete sì, ma destinate e finalizzate a divenire poi supporto logico). Si veda, a riprova di quanto appena detto, come sia strutturato il ragionamento circa il problema di rappresentare la lista dei testimoni delle varianti. A TEI interessa moltissimo poter rendere bene l’elenco fisico, cartaceo, la pagina in sostanza, che nel testo critico che prende come modello riporta i vari “witness”, al punto che teorizza e propone la Witness List: “In the front matter of the edition, a list of all witnesses may be given if desired, in the form of a witness list, held within a <witList> element. This witness list must contain a series of <witness> elements. Each <witness> element may optionally contain text describing that witness in detail and must have an attibute holding as its value the sigil (siglum) or identifier for a particular witness.”

Probabilmente TEI – cercando di mettere tutto (testo-documento e testo-testo, più magari anche ulteriori informazioni suplettive) dentro i suoi tags e nella sua DTD – collassa nella tentata opera di fusione e mescola le informazioni, rendendole non più immediate e nemmeno tanto facilmente gestibili, e neppure omogenee né tanto meno “chiare” e distinguibili. Arriva a mettere troppo e troppo mescolato, binomio che non facilita certo lo studioso.

Forse sarà interessante notare anche il passaggio in cui TEI P4 propone le sue linee guida per operare il “Linking the Apparatus to the Text”. Infatti il sistema è parecchio macchinoso e non univoco, anzi, tre sono le possibilità d’azione: “Three different methods may be used to link a critical apparatus to the text: the location-referenced method, the double-end-point-attached method, and the parallel segmentation method. Both the location-referenced and the double end-point methods may be used with either in-line or external apparatus, the former dispersed within the base text, the latter held in some separate location, within or outside the document with the base text. The parallel segmentation method does not use the concept of a base text and may only be used for in-line apparatus”. Le istruzioni proseguono indicando come “Any document containing <app> elements requires a <variantEncoding> declaration in the <editorialDecl> element of its TEI header, thus: <variantEncoding> declares the method used to encode text-critical variants; method indicates which method is used to encode the apparatus of variants; location indicates whether the apparatus appears within the running text or external to it”.

Alla fine il risultato pratico un po’ per tutti e tre i metodi TEI proposti è che l’unità di riferimento esterna, al testo cioè, è un’unità grafica-tipografica, non logica od assoluta, ma dipendente dalla specifica cartacea del testo di riferimento (anche se digitalizzato): infatti in tutti gli esempi mostrati il link avviene su una linea del testo fisica, oppure su marcature messe appositamente perché sul testo cartaceo in quel luogo c’era il segno della nota in calce; cioè messe dove si sapeva visivamente che c’era. Noi invece abbiamo lavorato marcando (con grande attenzione e cura, ed in modo omogeneo) tutte le unità molecolari che abbiamo chiamato “parole”, inserendole dentro il tag <w>, e assegnando loro una position definitiva ed assoluta, svicolata da qualsiasi rapporto col testo cartaceo, e valida di per sé, con l’attributo del <w p=”numerounicoassolutodellaparola”>.

E quando siamo stati costretti – nell’apparato ad esempio – ad utilizzare riferimenti che derivavano dalla stampa cartacea, abbiamo limitato al minimo questa necessità, ma ci siamo liberati dal rapporto con il testo-documento cartaceo collegando le parole <w> con la posizione assoluta che avevano nel testo digitalizzato e marcato da noi in modo univoco.

Alla domanda, pertanto, se sia meglio seguire la TEI o marcare XML in modo “libero”, bisogna rispondere in relazione agli obiettivi che ci si pone. Se si vuol digitalizzare un testo per fare la copia “anastatica” SGML del vecchio libro cartaceo, si usino pure le specifiche TEI, e si otterrà un ottimo risultato, seguendo uno standard ormai diffuso, ed aumentando il numero di copie di testi-documenti disponibili nelle biblioteche elettroniche. Se invece si vuol disporre di uno strumento “da battaglia”, certamente la marcatura che abbiamo ipotizzato e sperimentato, rispondendo ad esigenze logiche, e non grafiche, offre maggiori libertà, più velocità e più duttilità. E poi, nulla vieta di fare in più, dopo, il passo (con fogli di stile ad hoc, oppure trasformando con qualche “scorciatoia” di trova e sostituisci) che consenta anche al file XML prodotto con finalità ecdotiche “pure”, come il nostro, di rientrare dentro i canoni TEI.

Quello che si propone, pertanto, è uno strumento in più rispetto alla TEI e integrabile con la TEI, e forse anche un modo nuovo di affrontare e di ridurre in formato elettronico i testi e gli apparati critici, che potrebbe divenire standard in ambito ecdotico e che ci pare più adatto alla pratica filologica ed alla critica del testo, oltre che potenzialmente disponibile in una forma agile, semplice, elastica e duttile, da usare con facilità e con il quale ottenere inoltre anche in modo relativamente automatico parecchi utili prodotti.   


Pietro Bortoluzzi