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Democrazia e rete

L’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione sta lentamente determinando una modificazione nel destino della democrazia.

In ambito politico si assiste al mutamento dell’idea stessa di politica, all’abbattimento dei confini spaziali e temporali, che permettono al cittadino di diventare parte attiva del processo comunicativo.

La rete, Internet, è per definizione uno strumento di delocalizzazione, in cui cadono i limiti dello spazio e del tempo e dove tutti i cittadini possono riunirsi, discutere e deliberare, come nella vecchia Agorà ateniese.

In conseguenza dell’affermazione e della diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, vi è la speranza della costruzione di una sfera pubblica che veda coinvolti tutti i cittadini di un paese. Solitamente quando si parla di sfera pubblica ci si riferisce al concetto habermasiano di spazio all’interno del quale i soggetti, in una condizione di parità, discutono di questioni di rilevanza pubblica; la sfera pubblica va intesa come il luogo dell’uso pubblico della ragione, ossia un contesto sociale dove i cittadini, comunicando pubblicamente l’uno con l’altro, possono convincere o essere convinti, o maturare insieme nuove opinioni.

Oggi tale sfera viene ad essere definita in relazione ai mass media: è tramite essi, infatti, che si realizza la circolazione delle idee e che si pongono le condizioni perché il forum di discussione possa funzionare.

Lo sviluppo delle ICT [1] è stato considerato come il primo e vero elemento in grado di ricreare le condizioni per un ritorno all’agorà ateniese, luogo dove ci si incontrava al di fuori delle mura domestiche, anche se, come ci dice Dahlgren “una vibrante sfera pubblica di per sé non garantisce una democrazia: è un ingrediente necessario ma non sufficiente” (Dahlgren, 2001, p.37).

Notiamo così come Internet disponga di alcune virtù molto importanti: da un lato, data la sua diffusione, potrebbe rivestire l’importante ruolo di canale di informazione, potendo così creare un cittadino informato e consapevole (prerequisito di ogni democrazia); dall’altro Internet potrebbe e dovrebbe essere anche il luogo delle decisioni collettive, dove tutti potrebbero essere consultati ed esprimere on line il loro orientamento.

La politica dovrebbe essere pronta ad utilizzare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, per realizzare mediazioni dove tutti i punti di vista e i contrapposti interessi possano farsi ascoltare e dove, in seguito, la maggioranza sia capace, in qualche modo, di tener conto delle esigenze degli altri, per l’appunto mediando.

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con il superamento dei limiti imposti dalla fisicità, ripropongono una nuova tensione tra l’essere ed il dover essere della democrazia, tra la sua definizione normativa e quella empirica.

La rete diventa una nuova metafora di democrazia: da un lato si allargano le possibilità di realizzare una democrazia del popolo, con l’opportunità di realizzare procedure di decisione popolare; dall’altro si costata la presenza di una serie concreta di rischi e limiti, come la difficoltà di riorganizzare le comunità umane o come la resistenza culturale e politica a legittimare la rete come strumento di nuova partecipazione politica (De Rosa, 2002).

Internet e democrazia si incontrano e scontrano tra teoria e pratica che, mettendo in crisi i vecchi regimi politici, di fatto spinge verso la realizzazione di una partecipazione diretta. Siamo ancora lontani da una definizione di democrazia come processo di policy making [2], nel quale i governanti, considerati politicamente uguali, controllabili e sostituibili, si dimostrano ricettivi alle preferenze dei governati.

La ricettività è la caratteristica evidenziata da Dahl nel definire la democrazia come quel sistema politico dotato di capacità di risposta alle esigenze del cittadino.

Da qui si origina anche quello che lo stesso Dahl chiama dilemma democratico: “…al crescere delle dimensioni della politica, diminuisce il controllo dei cittadini su di essa, tanto che la democrazia dello stato-nazione sembra dover incontrare lo stesso destino della democrazia delle città-stato” (Dahl, 1994, p.25).

La democrazia si distingue dalle altre forme di governo per il principio secondo il quale, coloro che governano, sono soggetti al controllo di coloro che sono governati. In una vera democrazia, dunque, il potere fluisce dal basso verso l’alto.

Dalla democrazia diretta, basata sul modello dell’agorà ateniese, in cui politici e popolo sono posti sullo stesso livello e dove si assiste ad un intervento immediato della collettività nelle singole specifiche deliberazioni, attraverso gli strumenti del referendum abrogativo o confermativo e dell’iniziativa popolare delle leggi, alla democrazia rappresentativa, in cui si ha un intervento indiretto del popolo nelle deliberazioni, che, attraverso la libera espressione dei suoi suffragi, sceglie i titolari degli organi supremi dello stato, ai quali si demanda il compito di agire in sua rappresentanza (autogoverno, che necessita di cittadini sufficientemente preparati), per arrivare alla fine alla costituzione di una democrazia elettronica dove la maggior velocità delle informazioni, il crescente desiderio di una politica più facilmente accessibile a tutti e la sempre più grande delusione dei cittadini in relazione all’operato dei politici, assumono un ruolo centrale nella fase di trasformazione.

R.J.Varn (1993) si lamenta dell’uso spesso troppo analitico del termine “democrazia elettronica”; egli infatti sostiene che tale espressione viene usata per descrivere troppe funzioni delle nuove tecnologie nel governo della cosa pubblica, ossia: accrescere la partecipazione dei cittadini, migliorare l’accesso alle informazioni e ai servizi pubblici, semplificare le azioni del governo e, infine, reinventare il concetto di politica.

La maniera in cui tutto ciò potrà essere realizzato, ossia perché tutto ciò diventi più o meno democratico, dipenderà non solo dal grado di competenza politica dei cittadini, ma anche dalla misura in cui il governo sarà in grado di lavorare di concerto per far funzionare la democrazia elettronica, considerando le ICT uno strumento di partecipazione politica.

Altro attivista della democrazia elettronica è T.Becker (1981), il quale definisce la teledemocrazia come quella comunicazione a due vie, rapida e democraticamente assistita, che può essere usata per educare gli elettori sulle tematiche, facilitare la discussione di importanti decisioni, registrare istantaneamente le opinioni e permettere alla popolazione di votare direttamente le politiche pubbliche.

Nel suo libro Strong Democracy. Participatory Politics for a New Age. (1984), B.Barber afferma che: “Democrazie efficaci hanno bisogno di grandi cittadini. Noi siamo liberi solo se siamo cittadini e la nostra libertà e la nostra uguaglianza durano fintanto che dura la nostra cittadinanza (…) Cittadini sicuramente non si nasce, ma si diventa come conseguenza dell’educazione civica e dell’impegno politico in uno stato libero” (ivi, p.247). Secondo Barber solo la strong democracy è in grado di mantenere in vita la democrazia perché è garantita non da leader politici, ma da cittadini competenti e responsabili. La strong democracy punta l’attenzione sulla capacità educativa e sulla libertà che il suo esercizio politico potrebbe e dovrebbe avere sulla cittadinanza.

Il mutamento in atto può essere descritto, inoltre, dalle parole di Grossman (1997) usate per descrivere “la Repubblica Elettronica” che sta per costituirsi: “le attuali tecnologie di telecomunicazione probabilmente permetteranno al nostro sistema politico di tornare alle radici della democrazia occidentale, così come esso è esistito nelle antiche città stato greche” (ivi, p.43). Una democrazia, in altre parole, basata sulla partecipazione alla discussione politica che si sviluppa nell’ambito della sfera pubblica di cui parla esaurientemente Habermas.

Tutto ciò viene riproposto da McLuhan (1994), che afferma come “con l’aumento della velocità di diffusione delle informazioni, la tendenza in politica sarà di allontanarsi dalla rappresentanza e dalla delega conferita agli eletti, per avvicinarsi invece ad un coinvolgimento diretto della collettività nelle decisioni di governo” (ivi, p.138).

 

Ritornando a Grossman e alla Repubblica Elettronica, egli spiega come, per raggiungere la stessa, sia necessario ripristinare l’insegnamento dell’educazione civica, in quanto per una corretta interpretazione delle informazioni è fondamentale possedere una solida cultura; migliorare la qualità e la diffusione delle informazioni, eliminando qualsiasi tipo di limitazione preventiva sui mezzi di comunicazione e verso chi pubblica o diffonde le stesse; inoltre andrebbe garantito un sistema finanziario per le ICT, libero ed indipendente, capace di finanziare l’accesso dei più poveri e programmi di formazione e informazione di qualità, in modo da poter assicurare un accesso libero ed universale.

Infine la Repubblica Elettronica si realizzerà quando verranno ridisegnate le istituzioni politiche e ripensati tutti i meccanismi politici che non funzionano e che contribuiscono a far crescere il senso di frustrazione della gente verso la politica. In altre parole, gli studi sulla politica ed il governo dovranno modificare il loro orientamento e interrogarsi non più soltanto sulla qualità della leadership politica (top-down) quanto anche, e soprattutto, sulla qualità della cittadinanza (bottom-up).

E’ necessario un ritorno allo spirito espresso da Jefferson (1955): “nessuno è miglior depositario dei poteri ultimi della società del popolo stesso e se noi lo riteniamo non sufficientemente illuminato per esercitare il controllo con sana discrezionalità, il rimedio non è privarlo della sua discrezionalità, ma informarlo” (ivi, p.93).

Abbiamo visto, dunque, come il concetto di democrazia si sia trovato diversamente articolato in ragione del diverso peso attribuito alle variabili politiche, sociali o tecnologiche di volta in volta prese in considerazione.

Il generale ottimismo, circa le potenzialità delle nuove tecnologie di responsabilizzare i governi grazie alla partecipazione è risultato fondato su una comune interpretazione della disaffezione popolare nei confronti della politica, ma non è sembrato altrettanto convincente sul piano motivazionale. La sola esistenza di strutture di partecipazione non garantisce, infatti, la motivazione a partecipare, tanto meno ne garantisce la continuità, se non grazie a notevoli sforzi in direzione della rieducazione politica e civica della cittadinanza.

 


[1] Information Communication Technologies.

[2] Policy making: processo di formazione, definizione e attuazione delle tematiche di pubblico interesse.

Tesi di Laurea in Comunicazione Politica :
"Democrazia e nuove tecnologie: rischi di esclusione e opportunità di partecipazione"

di Sara Cirulli


- Universita' per Stranieri di Perugia -
- Facolta' di Lingua e Cultura Italiana -
- Corso di Laurea in Comunicazione Internazionale -