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Il divario globale

Come si è potuto capire, la digitalizzazione dell’economia e della società differenzia e allontana tra loro individui, famiglie, strati sociali, gruppi etnici e linguistici, classi di età, fasce di reddito, livelli di educazione, zone rurali ed urbane, paesi ricchi e poveri, addirittura interi continenti.

La frattura tra “coloro che possono e sono in grado di farlo” e “coloro che non possono e non sono in grado” diventa una sfida globale, nel senso che attraversa tutti i livelli e può essere intesa come disuguaglianza interna ad un dato paese o esterna ad esso – un divario planetario – (Morawski, 2001, p.45).

Il divario digitale è una formula che possiede un carattere universale, proprio perché riassume e rilancia tutte le ineguaglianze economiche, geopolitiche, sociali, culturali, generazionali e fisiche [1]. Il “gap” digitale è, dunque, lo specchio delle attuali e crescenti disuguaglianze socioeconomiche ed è caratterizzato da carenza di infrastrutture, alti costi di accesso, sistemi politici inadeguati o troppo deboli, lacune nella fornitura di reti e servizi di telecomunicazioni, mancanza di contenuti creati a livello locale e da squilibri nelle capacità di trarre benefici economici e sociali dalle attività ad alto contenuto di informazione (Tarallo, 2003).

Ovunque le caratteristiche che accomunano cybernauti e tecno-esclusi sono sempre le stesse. Generalizzando, entro i confini nazionali l’uso di Internet è più diffuso tra i giovani piuttosto che tra gli anziani, tra gli uomini piuttosto che tra le donne, tra gli individui con reddito ed istruzione medio-alti piuttosto che tra le fasce sociali più deboli, nelle aree metropolitane piuttosto che in quelle rurali (Ilo, 2001).

Confrontando diversi paesi, alcuni dati ricorrono invariabilmente.

Il reddito nazionale è correlato con la diffusione delle nuove tecnologie, ed è il tratto che maggiormente distingue i paesi industrializzati da quelli in via di sviluppo, dove la percentuale di connessi è nettamente inferiore. Ugualmente, nei paesi in cui vige un regime totalitario e nei quali è negata la libera circolazione delle informazioni, l’accesso al cyberspazio è ridotto in confronto alle nazioni in cui sono garantiti i diritti politici e civili e soprattutto il diritto di informazione.

Infine anche la dotazione di infrastrutture e i costi di accesso incidono sul grado di penetrazione che le ICT raggiungono in un dato paese. La disponibilità di infrastrutture di base e i costi necessari per accedervi sono indicatori essenziali per rilevare la possibilità di un paese di usufruire dei vantaggi della rivoluzione digitale. Altre variabili importanti sono la diffusione dei computer e l’esistenza di accessi alternativi.

Purtroppo però, il processo di digitalizzazione, che ha investito quasi tutti i paesi industrializzati, è ancora qualcosa di incomprensibile ed inesistente per oltre la metà della popolazione mondiale, che non ha energia elettrica e che, magari, non ha mai visto un telefono.

Il digital divide può essere così considerato una sfida, recente, riassumibile in pochi dati: il 70% circa dell’umanità non avrebbe mai sentito parlare di Internet e solo il 5/6% ha accesso alla rete; il 97% dei siti web, il 95% dei server e l’88% degli utenti si trova nei paesi industrializzati (Stati Uniti e Canada hanno insieme il 57% dei navigatori, mentre Africa e Medio Oriente non raggiungono insieme l’1%); il divario tra inclusi ed esclusi è raddoppiato negli ultimi tre anni (ibidem).

Nelle zone più disastrate del pianeta ancora si combatte contro la fame, la povertà, la mancanza di acqua e di minime condizioni sanitarie. I dati internazionali offrono la visione planetaria di ricchi sempre più ricchi e di poveri sempre più poveri.

Da solo, il 10% ricco del pianeta consuma il 70% delle risorse; il rapporto 1999 sullo sviluppo umano dell’Undp (United Nation Development Program) afferma come le tre persone più ricche della terra possiedano, insieme, un patrimonio più consistente della produzione annuale dei 48 paesi più poveri del pianeta.

Secondo alcune fonti (Cerf, 1999), relative sempre alla diffusione di Internet, nel giugno del 1999 gli Stati Uniti ed il Canada rappresentavano oltre 102 milioni di utenti, l’Europa oltre 40 milioni, l’Asia e la regione Asia-Pacifico quasi 27 milioni, l’America latina 23 milioni, l’Africa 1,14 milioni e il Medio Oriente 0,88 milioni di utenti. Internet, nelle sue diverse incarnazioni e nuove manifestazioni, rappresenta il mezzo di comunicazione telematica interattiva, universale, dell’era dell’informazione, ma al contempo rappresenta anche una tecnologia non ad appannaggio di tutti, provocando in tal senso un aumento del divario tra i diversi stati del mondo.

All’interno dei paesi vi è sostanziale disuguaglianza sociale, razziale, sessuale, spaziale e generazionale nell’accesso. Nel 1999 l’indice di diffusione di Internet era talmente elevato che appariva evidente che l’accesso diffuso sarebbe stato la norma nei paesi avanzati nei primi anni del XXI secolo, ma così non è stato (ibidem).

Internet ha registrato il tasso di penetrazione più rapido nella storia dei mezzi di comunicazione: negli Stati Uniti, la radio impiegò trent’anni per raggiungere 60 milioni di persone; la televisione ottenne questo livello di diffusione in quindici anni; Internet ce l’ha fatta in soli tre anni in seguito allo sviluppo del World Wide Web (Unesco, 1999).

Il resto del mondo è in ritardo rispetto al Nordamerica e ai paesi sviluppati, accesso e uso rimangono problematiche ancora da affrontare nelle principali aree metropolitane di tutti i continenti. L’ingresso della società in Internet, con tempi assai disuguali, potrà portare a conseguenze permanenti sugli schemi di sviluppo futuro della comunicazione e della cultura mondiali (Castells, 2002, pp.403-408).

E’ evidente, però, che per oltre la metà degli abitanti del mondo, l’accesso ad Internet rappresenta soltanto l’ultima tappa di un processo di sviluppo che prima dovrebbe risolvere problemi più impellenti. Ed è anche vero, che non si possono lasciare indietro tre quarti degli abitanti della terra. L’alfabetizzazione tecnologica di larghe fasce della popolazione deve diventare una scommessa fondamentale [2].

Infatti, senza il superamento del divario digitale, risulterà sempre più difficile superare le altre tipologie di “divides” che caratterizzano il mondo.

Appare sempre più chiaro come la crescita della rete possa costituire un paradigma alternativo di sviluppo, attraverso il quale i paesi più poveri potranno sfruttare facilmente i benefici derivanti da una più ampia circolazione delle informazioni, dalla possibilità di accedere alle idee in modo più semplice e diretto, dalla capacità di generare valore da quello che si ha e non si ha modo di trasmettere.

Il ruolo cruciale delle ICT nello stimolare lo sviluppo assume così due aspetti: da una parte dà la possibilità ai paesi di modernizzare i loro sistemi ed incrementare la loro competitività tanto quanto mai in passato; dall’altra, per quei paesi che non sono in grado di adattarsi al nuovo sistema tecnologico, i ritardi divengono sempre più incolmabili. Inoltre, l’abilità di muoversi all’interno dell’era dell’informazione, dipende dalla capacità dell’intera società di essere educata e messa in grado di assimilare, metabolizzare ed utilizzare informazioni complesse.

La rete dell’informazione digitale, come si può capire dai dati precedentemente presentati, coinvolge oggi meno del 10% della popolazione mondiale.

Molti ancora pensano che lo sviluppo di Internet, o più in generale delle ICT, e della società dell’informazione sia inarrestabile, che sia solo un problema di tempo e che con calcoli statistici se ne possa prevedere la progressiva affermazione, visto che prima o poi tutti saranno connessi in un meraviglioso digital dream che accomunerà tutti gli individui (Buongiovanni et al.,2003, p.75).

Tale considerazione, come ovvio, non può che essere sbagliata, poiché non basta una crescita diffusa delle ICT, ma vi è la forte necessità che si diffonda, soprattutto, una cultura relativa all’utilizzo e alla comprensione delle sue applicazioni.

Similmente ad altre profonde trasformazioni tecnologiche (rivoluzione industriale, elettricità…), quella della società, in relazione alle nuove tecnologie, si trova ad attraversare la sua crisi, rischiando di determinare un distacco nello sviluppo omogeneo globale e di lasciare ancora più indietro quei paesi e quelle fasce sociali che vivono già significative situazioni di svantaggio.

Lasciando il controllo e l’accesso alle nuove tecnologie digitali esclusivamente ad un élite, non si avrà possibilità alcuna di generare quel valore aggiunto globale che potrebbe derivare dall’individuazione di modelli di sviluppo alternativi.

In breve, se si analizza sotto il profilo teorico, il digital divide è, come si è detto, la sperequazione nell’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che esiste tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo.

Ma, sotto il profilo pratico, l’analisi delle componenti del divario digitale, se coniugate ad azioni ed iniziative coerenti, costituiscono un’irripetibile occasione e un modo alternativo per affrontare la crescita complessiva delle società e agire positivamente sugli indici dello sviluppo a livello mondiale (Zocchi, 2003).

Riassumendo, il digital divide rappresenta la disuguaglianza nella penetrazione e nella fruizione dei vantaggi delle tecnologie a livello complessivo, per questo deve essere affrontato sia a livello globale che nazionale. Inoltre esso non può essere risolto solo attraverso la crescita dell’accesso ad Internet, ma definendo quali siano i modelli di sviluppo più adatti alle singole realtà, affrontando e considerando in modo sistemico tutte le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, anche quelle non digitali, che comunque contribuiscono a formare la rete comunicativa.

Nonostante tutto ciò sia ben chiaro, ancora oggi l’arretratezza di alcune parti del mondo, per quel che concerne la penetrazione delle nuove tecnologie, sembra molto difficile da colmare, soprattutto dal momento che le sfide più importanti a riguardo avvengono proprio in quei paesi che ogni giorno cercano di lottare con un tessuto economico e culturale inadeguato e con una società già divisa e diseguale in partenza (come l’Africa o l’India).

La diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione presuppone quindi, da una parte grandi investimenti economici, dall’altra la presenza di infrastrutture e servizi, spesso assenti in molti paesi del mondo.

Per questo, la situazione che si va delineando vede l’esistenza di un divario nella fruizione delle nuove tecnologie, divario presente sia all’interno del Nord del mondo, sia tra questo ed il Sud. I dati a disposizione sembrano dimostrare che nei prossimi anni tale gap andrà progressivamente aumentando segnando una linea di separazione tra Nord e Sud difficilmente colmabile. All’interno del Nord, ad essere svantaggiato nell’accesso e nell’utilizzo delle ICT sono soprattutto alcune categorie sociali, appartenenti a fasce socialmente deboli; nel Sud, si può tentare di disegnare una mappa, che vede il continente asiatico in ritardo, ma con una discreta percentuale di diffusione ed utilizzo delle nuove tecnologie; l’America Latina, anch’essa in ritardo ma con interventi finalizzati al recupero, e l’Africa con un ritardo immenso [3].

Tesi di Laurea in Comunicazione Politica :
"Democrazia e nuove tecnologie: rischi di esclusione e opportunità di partecipazione"

di Sara Cirulli


- Universita' per Stranieri di Perugia -
- Facolta' di Lingua e Cultura Italiana -
- Corso di Laurea in Comunicazione Internazionale -