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Debolezze del modello free software/open source

Il modello che abbiamo descritto fin qui in termini generali, se da un lato lascia intravedere grandi vantaggi e notevoli capacità di affermazione all’interno delle infrastrutture della comunicazione futura, non è immune da pericoli per il suo sviluppo e dalla possibiltà di vedere stemperare i principi che lo hanno reso così interessante agli occhi di molti osservatori di vari campi: informatici, economisti, psicologi, sociologi, studiosi dell’innovazione.

Bisogna sottolineare come alcune caratteristiche di questo modello, se da un lato sono responsabili dei suoi vantaggi, per loro stessa natura possono anche essere fonte di debolezza.

Il fatto che i progetti possano nascere e prosperare in maniera indipendente dagli interessi economici di qualche azienda, grazie a un lavoro in gran parte volontario di tutti gli interessati, può essere un motivo di debolezza per le sorti future del progetto stesso.

…it is not possible to know if a project will ever reach a usable stage, and even if it reaches it, it may die later if there is not enough interest 

Per superare la fase più critica dello sviluppo di un progetto, quella iniziale, la strategia consiste nel coinvolgere il maggior numero di aziende e istituzioni interessate a finanziare parte del progetto o a fornire il lavoro dei propri programmatori, in modo che l’alto numero iniziale di programmatori cooperanti spinga altri ad unirsi.

Per cause affini, è molto spesso difficile sapere quali progetti sono in fase di svolgimento in un dato momento, perché è raro che vengano stanziati fondi per campagne pubblicitarie di un prodotto open source. Esistono però diversi punti nodali dove si possono ottenere informazioni a riguardo dei progetti in corso, nei quali i programmatori possono consultare lo stato dei diversi progetti e decidere di collaborare in varie maniere. I sistemi web più importanti a questo riguardo sono FreshMeat  e Source Forge.

Oltre a questo, esistono diverse compagnie di informatica che hanno spostato il loro interesse dalla vendita del software alla vendita di servizi e consulenza sul software, basata su un’intensa attività di informazione sullo stato dei progetti in corso e sul testing dei programmi. Queste aziende, generalmente, oltre a fare attività di ricerca e di prestazione di servizi, dedicano parte delle loro energie alla cooperazione con altre aziende e sviluppatori, dando dei contributi alla comunità.

Le aziende che non operano in questo modo spesso perdono di credibilità di fronte agli sviluppatori, che non sono più stimolati a collaborare ai loro progetti.

Uno dei maggiori pericoli per il software libero/open source arriva dall’esterno ed è rappresentato dai brevetti sul software.

Per trattare questo tema bisogna definire che cosa si intende con il termine”brevetto” e in cosa differisce dalle licenze copyright.

Brevettare del software consiste nel richiedere dei diritti esclusivi su degli algoritmi o delle tecniche usate nel suo sviluppo. Non si parla qui di diritti su parti di codice, ma del modo in cui quella parte di codice è stata sviluppata.

E’ spesso capitato che venissero brevettati algoritmi utilizzati diffusamente dai programmatori come conoscenze aquisite: soprattutto in questi casi è evidente come i brevetti costituiscano un ostacolo alla ricerca informatica e un freno all’innovazione tecnologica, obbligando i programmatori a pagare una quota per l’utilizzo di quell’algoritmo o a creare delle tecniche nuove per aggirare la protezione del brevetto.

Gli effetti prodotti dalle patenti sul software sono stati analizzati in numerosi studi economici. Bessen e Hunt  nel loro lavoro dipingono un quadro generale di come si è evoluta la legislazione statunitense al riguardo, evidenziando come la rapida ascesa dell’utilizzo di brevetti sul software sia stata causata da nuove leggi tendenti ad ammorbidire i criteri di cessione delle licenze sul software, rafforzando contemporaneamente i dispositivi per farle rispettare. Affermano inoltre che il maggiore uso di brevetti viene fatto da grandi aziende, non necessariamente produttrici di software, perseguendo finalità strategiche, con l’obiettivo di procurarsi vantaggi sui concorrenti. In particolar modo si oppongono all’idea che una più vasta applicabilità dei brevetti sul software possa portare ad un maggior numero di investimenti in Ricerca e Sviluppo. Al contrario, sostengono che il largo utilizzo dei brevetti a scopo strategico rallenti l’innovazione.

Dallo studio di Tang, Adams e Parè  emerge che la maggior parte delle piccole e medie imprese preferiscono affidarsi, per proteggere i loro lavori, al semplice copyright, in aggiunta a sistemi di protezione digitali e a strategie ben congegnate di penetrazione all’interno del mercato. Il vasto progetto britannico sulla proprietà intellettuale , conclude che i brevetti sul software non sono utili ad incentivare l’innovazione, essendo in gran parte utilizzate dalle grandi imprese manufatturiere. Le piccole e medie imprese preferiscono affidarsi ad altri metodi di protezione, più informali, tendendo a privilegiare tempestività di ingresso nel mercato e rapporto con la clientela.

Se l’impatto dell’introduzione di brevetti sul software sembra sollevare delle ambigutà al riguardo della sua utilità nello stimolare l’innovazione nel mondo del software proprietario, per quanto riguarda il software libero/open source gli effetti sono ancora più dannosi.

Il pericolo per il software libero/open source sta nella stessa apertura del codice sorgente: la sua visibilità permette ai detentori di brevetti di localizzare in maniera semplice le tecniche utilizzate all’interno del codice. Inoltre, essendo il codice scritto cooperativamente da migliaia di sviluppatori, è sempre presente il rischio che aziende interessate ad un rallentamento nello sviluppo di un determinato programma possano inserire al suo interno parti di codice coperte da brevetto.

Se la situazione era preoccupante negli Stati Uniti, dove il software è brevettabile, problemi nuovi stanno sorgendo anche in Europa, dove fino al 2003 non si potevano richiedere brevetti sul puro software, ma soltanto su invenzioni che utilizzavano anche del software per funzionare.

Recentemente, in contrasto con le direttive del Parlamento Europeo, il Consiglio dei Ministri europeo sta attuando delle proposte per l’estensione della brevettabilità del software ad una più vasta gamma di programmi.

In una situazione europea in cui l’industria del software è spinta da imprese piccole e medie e dove l’open source si sta qualificando come un modello economico in crescita, queste posizioni sembrano controproducenti per la stessa economia dell’Unione.

Un’altra minaccia al modello open source arriva dall’esterno, incarnata da strategie di “marketing-guerriglia” tese a screditare l’immagine del software open source. Una delle tecniche più utilizzate è quella di associare il movimento free software/open source con gli hackers, usando il termine nell’accezione di “pirata informatico”. Spesso si è tentato di screditare il software libero/open source associandolo a caratteristiche di bassa affidabilità e sicurezza, indicandolo come software non professionale.

Alcuni critici del modello free software/open source indicano poi tra i problemi legati a questo tipo di software la possibilità di una frammentazione in una varietà di software incompatibili tra loro. Si intravede nel software libero/open source la possibilità di una “balcanizzazione” simile a quella che ha interessato i sistemi Unix nella seconda metà degli anni ottanta, in cui si assisteva alla proliferazione di almeno una cinquantina di sistemi Unix spesso incompatibili gli uni con gli altri. Ripercorrendo la storia dei sistemi Unix possiamo però scorgere diverse fasi la cui analisi potrebbe gettare luce su questo problema. Ricordiamo innanzi tutto che Unix, a partire dagli anni della sua nascita nei Bell Laboratories negli anni settanta, veniva rilasciato insieme ai codici sorgenti per ragioni legate ad una causa in corso nei confronti della Bell per violazione della legislazione statunitense sui monopoli. E’ stato proprio questo fattore a stimolare una larga adozione di Unix nei centri di ricerca e a garantire l’ampia portabilità di Unix su macchine di diverso tipo. La disponibilità dei sorgenti del sistema operativo contribuì a dare vita ad una relazione collaborativa tra i centri di ricerca che adottavano Unix, attraverso lo scambio delle patch e la condivisione delle nuove funzionalità. Con la prima commercializzazione di Unix, iniziata nella prima metà degli anni ottanta, vennero alla luce numerosissime versioni proprietarie del sistema operativo. Cercando di ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle distribuzioni concorrenti, ogni sistema Unix proprietario cercava di tenere nascoste le proprie innovazioni, portando alla creazione di numerosi sistemi Unix divergenti tra loro. Si tratta del meccanismo opposto a quello sottostante allo sviluppo di Linux: quando una distribuzione introduce delle nuove soluzioni, tutte le altre distribuzioni saranno portate ad adottarla se queste incontrano popolarità e sono legalmente autorizzate a farlo. Il modello free software/open source “crea una pressione unificante verso un punto di riferimento comune di fatto, uno standard aperto e rimuove le barriere della proprietà intellettuale che altrimenti ostacolerebbero questa convergenza” .


Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione:
"Il software libero Open Source. Una dimensione sociale"

di Andrea Todon


- Università degli Studi di Trieste-  
- Facoltà di Scienze della Formazione -
- Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione -

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