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Usabilità

Abbiamo descritto il modello open source come un processo comunitario di creazione del software, in cui sviluppatori e utilizzatori fanno parte della stessa comunità.

Questo è particolarmente vero nei primi anni di nascita e diffusione del software libero/open source. Esso trae le sue origini dalla cultura hacker, estremamente tecnica e dedita a costruire strumenti altamente innovativi e sofisticati, destinati a divenire a loro volta risorse della comunità. Il software libero muove i primi passi attraverso la creazione di programmi scritti da sviluppatori per gli sviluppatori.

I programmi open source di maggiore successo, quali il server web Apache, il database server Mysql, l’editor Emacs, il linguaggio Perl, sono concretamente utilizzati da amministratori di sistemi e programmatori più che da utenti medi.

Nelle prime fasi dello sviluppo del movimento l’usabilità dei programmi non rappresentava un problema, in quanto questi venivano progettati avendo in mente degli utilizzatori con caratteristiche simili a quelle dei programmatori stessi.

Concettualmente, l’usabilità di un prodotto, e più specificamente di un prodotto software, misura la distanza cognitiva fra il modello del progettista (modello del prodotto e delle sue modalità d’uso, possedute dal progettista e incorporate nel prodotto) e il modello dell’utente (modello di funzionamento del prodotto che l’utente si costruisce e che regola l’interazione col prodotto): quanto più i due modelli sono vicini tanto meno l’usabilità costituirà un problema.

Soltanto nella seconda metà degli anni ’90 iniziarono a nascere programmi a codice aperto per gli utenti finali: programmi di fotoritocco (GIMP), editor di testo (OpenOffice), lettori multimediali (XMMS).

In questo periodo le comunità free software/open source iniziarono a percepire l’ambiente desktop come un fattore cruciale per la diffusione del software a codice aperto e per l’estensione del suo uso a fasce d’utenza non specialistiche. I progetti di interfaccia  grafica per l’utente finale GNOME e KDE costituirono un grande passo avanti in questa direzione, fornendo un desktop grafico sulla scia di Windows e Macintosh.

Fino a questo momento, la maggior parte dei progetti a codice aperto erano applicazioni non esistenti nella versione commerciali, nati per colmare dei vuoti di mercato.

Il desiderio da parte delle comunità e delle aziende che supportano il software open source di raggiungere ampie fasce di utenza, fornendo una reale alternativa al software commerciale, può realizzarsi soltanto attraverso una discussione  e un impegno sui temi dell’usabilità.

Secondo l’ISO 9241  l’usabilità è valutabile attraverso i livelli di efficacia, efficienza e soddisfazione con cui gli utenti raggiungo i loro obiettivi in determinati contesti.

E’ importante sottolineare che l’usabilità non deve essere considerata una caratteristica del prodotto, ma il risultato di un processo di interazione contestuale tra l’utente, il prodotto e i fini dell’utente stesso.

Il problema dell’usabilità si è posto nel software commerciale a metà degli anni ’80, quando i computer sono entrati negli uffici e nelle abitazioni, utilizzati da utenti non esperti. Le compagnie di software hanno così cercato di affrontare il problema assumendo esperti dell’interazione uomo-computer, che iniziarono a lavorare fianco a fianco con i programmatori.

Nel caso dell’open source l’emergere di una nuova utenza di non esperti è un fenomeno nuovo, e deve essere ancora affrontato in maniera completa.

Una delle prime ragioni consiste nel fatto che gli sviluppatori open source sono spesso motivati  a contribuire dalla necessità di disporre di funzionalità avanzate non ancora presenti e sono meno interessati a svolgere del lavoro per degli utenti meno esperti.

Altri fattori, quali il ridotto apporto di investimenti sul software open source da parte delle aziende per costituire team multidisciplinari, la più generale difficoltà di individuazione dei problemi di usabilità rispetto a quelli di funzionamento, la propensione degli sviluppatori a lavorare sul codice in maniera interattiva e non pianificata, senza un progetto alla base, e non ultima la preferenza (derivata dalla cultura hacker) degli sviluppatori per delle interfacce che non nascondano all’utente i meccanismi di funzionamento della macchina, ci restituiscono un quadro più completo della situazione dell’usabilità nel modello open source.

Negli anni recenti, la progettazione degli artefatti informatici si è avvicinata sempre di più ad una prospettiva che metta al centro dell’analisi l’utente nel suo contesto. L’interazione uomo-computer viene concepita come un processo di adattamento reciproco  e iterativo, non come un adattamento dell’uomo alla macchina.

Il conflitto uomo-computer, secondo Mantovani, può essere ricondotto a quello tra ruoli socio-professionali differenti:
E’ possibile considerare gli artefatti come la posta in un gioco di cooperazione-conflitto tra gruppi socio-professionali che se ne disputano il controllo, al fine – non necessariamente consapevole, anzi di solito non esplicitamente presente – di influenzare, tramite tali strumenti, l’ambiente sociale e fisico .

E’ sulla scia di riflessioni di questo genere, nel tentativo di accorciare la distanza tra progettista e utilizzatore, che iniziano a fare il loro ingresso nel campo dell’HCI  figure professionali provenienti dall’antropologia, dall’etnologia e dalla sociologia.

A partire dalla seconda metà degli anni ’90, nell’intento di andare ancora più a fondo nel processo di avvicinamento tra le due figure contrapposte, inizia a farsi strada un’approccio all’usabilità detto design partecipativo.

Esso prevede il diretto coinvolgimento dell’utente nelle varie fasi del processo di creazione del prodotto, del quale è ritenuto corresponsabile insieme al progettista.
La produzione del software non è più un processo lineare, ma un processo iterativo in cui si perviene al risultato finale attraverso aggiustamenti successivi guidati dalla continua verifica delle esigenze e delle necessità dell’utente finale.

Il parallelo tra questo approccio e il modello free software/open source, dove gli utenti (per ora soltanto quelli dotati di elevate capacità tecniche) partecipano attivamente al processo di costruzione collettiva di un progetto in cui gli obiettivi e le necessità vengono stabilite in itinere attraverso l’interazione tra i partecipanti, sembra essere calzante oltre che fruttuoso per l’individuazione di punti deboli e potenzialità ancora non sfruttate.

Il fattore chiave per il miglioramento dello stato di usabilità del software libero/open source sembra essere il coinvolgimento nel processo di sviluppo degli utenti finali.

Questo risultato può essere raggiunto combinando diversi approcci, attraverso un’impegno delle comunità free software/open source in varie direzioni.

La prima consiste nel fornire agli utenti delle semplici interfacce, automatizzate per raccogliere dati sul tipo di operazione effettuata dall’utente, per comprendere il contesto in cui si è verificato il problema di usabilità. L’utente deve essere fornito di strumenti per comunicare la proprie osservazioni agli sviluppatori sia in forma testuale che in forma grafica, per esempio scattando fotografie del desktop.

Attraverso il sistema dell’advocacy, in cui persone interessate all’usabilità e studiosi di HCI svolgono studi di usabilità su persone con cui intrattengono relazioni sociali di tipo amicale o familiare, si possono ottenere rapporti su problemi specifici, che vanno poi raccolti e interpretati. I collaboratori del team dedicato all’usabilità finiscono per costituire delle figure di tramite tra gli sviluppatori e gli utenti finali, creando un collegamento tra i due estremi.

Il lavoro distribuito di tipo modulare applicato dai programmatori può essere riproposto anche per gli studi sull’usabilità, permettendo agli utenti e agli esperti di usabilità di lavorare su ambiti molto circoscritti e riservando l’attività di raccolta, organizzazione delle informazioni e coordinamento del lavoro agli analisti più esperti.

Come per la fasi di sviluppo, gli sforzi dei partecipanti al progetto usabilità devono essere segnalati all’intera comunità, stimolando un meccanismo basato sulla reputazione.

Nichols e Twidale mettono in evidenza come gli strumenti per rendere più semplice la collaborazione da parte degli utenti finali non siano sufficienti:
Creating a technological infrastructure to make it easier for usability experts and users to participate will be insufficient without an equivalent social structure. These new entrants to OSS projects will need to feel welcomed and valued, even if (actually because) they lack the technical skills of traditional hackers .

Il miglioramento dello stato di usabiltà del software open source per gli utenti finali deve passare attraverso un processo di apertura della stessa comunità hacker, incoraggiando l’ingresso all’interno delle comunità di nuovi gruppi sociali e occupazionali.

La nascita di gruppi femmili all’interno dei progetti open source (quali KDE-Women, gruppo di partecipanti al progetto K Desktop Environment  e Systers, una mailing-list di informatiche impegnate nell’open source) è il segno dell’affacciarsi di nuove voci all’interno della cultura hacker e del desiderio di farsi vedere ed essere riconosciuti.

La nascita di comunità in rete basate sul libero scambio di conoscenze, quali Wikipedia (un’enciclopedia “libera” sul modello del software libero), l’Open Directory Project (un catalogo del Web redatto da partecipanti volontari), Opsound (un sito che raccoglie materiale audio rilasciato sotto licenze libere), costituisce una possibilità di allargamento delle comunità free software/open source.

Queste comunità basano infatti la loro interazione su programmi di gestione dei contenuti (Content Management System ) di tipo open source e spesso dalle discussioni che emergono tra i partecipanti nascono esigenze  e proposte di nuove funzionalità che vengono presentate agli sviluppatori.

Gli sviluppatori che partecipano a queste comunità costituiscono il tramite tra gli utenti e i programmatori stessi, contribuendo ad avvicinarne la distanza.

La partita dell’usabilità e della stessa estensione del modello del software libero/open source  si giocherà anche sul piano del locale, nei rapporti tra i gruppi locali di utilizzatori di software a codice aperto e le pubbliche amministrazioni.


Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione:
"Il software libero Open Source. Una dimensione sociale"

di Andrea Todon


- Università degli Studi di Trieste-  
- Facoltà di Scienze della Formazione -
- Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione -

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