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La situazione italiana

L’apertura di un dibattito italiano sul tema del software libero/open source per le Pubbliche Amministrazioni ha origine da una lettera aperta del 19 ottobre 2000 inviata al dipartimento della funzione pubblica e pubblicata su Interlex  all’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA) e al Ministro del Tesoro intitolata “Soggezione informatica dello Stato italiano alla Microsoft ”, in cui si denunciano l’utilizzo massiccio all’interno del settore pubblico di software di un’unica azienda e l’ampio utilizzo di standard proprietari come se si trattasse di standard aperti.

Nel 2001 uno studio di Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino, intitolato “Proposta di un programma nazionale di ricerca sul tema freeware ” pone allo scoperto la debolezza del settore informatico italiano e presenta il software libero come una risorsa per accelerare l’innovazione, per diminuire l’importazione di prodotti software e infine “accrescere quella cultura collettiva delle strutture pubbliche e private della ricerca che è stata, ed è, uno dei fattori di successo più importanti dei sistemi industriali dominanti” . 

Pochi mesi dopo, in linea con la proposta del senatore Millio, il senato redige una raccomandazione, accolta in sede di discussione della legge finanziaria del 2001, che mette in luce i possibili vantaggi derivanti dall’adozione di software open source, soprattutto in relazione alle alte spese degli investimenti informatici e chiede all’AIPA un’impegno all’esame e alla messa a punto di progetti per l’introduzione di questo tipo di software nelle PA.

Il 31 ottobre  2002 viene istituita dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie la “Commissione per il software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione”, presieduta da Angelo Raffaele Meo.

Il lavoro della Commissione  viene alla luce nel maggio 2003 e si concretizza in numerose proposte. In primis la proposta di basarsi sul criterio del value of money al momento della scelta di soluzioni software per le PA, senza discriminazioni nei confronti dei prodotti open source. Va incoraggiato il riuso del software di tipo custom di proprietà non esclusiva delle PA e il trasferimento dei pacchetti tra PA. Inoltre, si propone l’istituzione dell’obbligatorietà dell’uso di almeno un formato aperto per i documenti prodotti dalle PA. Viene oltretutto messa in evidenza l’utilità del software open source per la distribuzione dei prodotti risultanti dai progetti di ricerca e innovazione tecnologica finanziati attraverso fondi pubblici.

In risposta allo studio della Commissione nel novembre 2003 viene emanata dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie una direttiva per l’open source nella Pubblica Amministrazione. Si richiede alle PA di adottare criteri tecnici ed economici nella scelta del software da acquisire privilegiando i criteri di indipendenza da un singolo fornitore, della disponibilità dei sorgenti per l’ispezione, dell’interoperabilità, del riuso e della possibilità di esportare i documenti in più formati di cui almeno uno aperto.

Nonostante la notevole portata della direttiva va osservato come questa non faccia menzione ai caratteri partecipativi del modello open source. Ci si concentra in particolare sui benefici economici e sulla necessità per le PA di conoscere i sorgenti e detenerne la proprietà. Si considerano in misura molto minore la trasparenza e le possibilità di modifica e riutilizzo da parte dei cittadini.

La trasparenza dei codici sorgenti ad uso delle PA non assicura che il software sia classificabile come open source. Per poter godere di questo appellativo il software deve permettere la visibilità del codice a chiunque desideri conoscerlo, siano essi privati o istituzioni, senza discriminazioni di alcun tipo.

Uno sviluppo pieno delle potenzialità del modello open source all’interno delle Pubbliche Amministrazioni implicherebbe non soltanto il controllo interno sui programmi e la ridistribuzione dei pacchetti tra PA ma la creazione di un vero e proprio rapporto sinergico e collaborativo tra Pubbliche Amministrazioni, piccole aziende produttrici di software, associazioni di telematica, gruppi di utilizzatori di software libero , scuole, istituti di ricerca e singoli.

Un simile approccio è oltretutto incoraggiato dalle stesse linee guida per la “Società dell’Informazione e della Comunicazione”: il Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, al fine di sostenere l’innovazione e dare vita ad una Società dell’Informazione aperta a tutti, auspica la costruzione di una società aperta all’innovazione attraverso l’incentivazione di un “dialogo aperto tra ricerca, impresa, Governo, e opinione pubblica” .

Nelle Linee Guida del Governo per la Società dell’Informazione, inoltre, si aggiunge:
“Un sistema di eGovernment nei suoi sviluppi più avanzati rappresenterà anche un potente strumento di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, evolvendo verso modelli innovativi di eDemocracy.”

Un sistema di governo elettronico volto a stimolare una piena partecipazione dei cittadini, oltre ad assicurare una completa accessibilità ai soggetti a maggiore rischio di esclusione, potrà avvalersi del modello open source per aprire un dibattito pubblico a partire dalle stesse scelte tecnologiche che sottostanno al suo sviluppo.

L’esperienza organizzativa del modello free software/open source potrebbe inoltre fornire gli strumenti intellettuali per il passaggio da una democrazia di tipo rappresentativo ad una sua forma più diretta.

Nella prospettiva indicata da Levy, l’utilizzo più proficuo delle nuove tecnologie telematiche non consisterebbe nel semplice snellimento e razionalizzazione della burocrazia ma nella sperimentazione di “forme di organizzazione o trattamento dell’informazione innovative, decentralizzate, più duttili e interattive” , che permettano “una autentica socializzazione delle soluzioni dei problemi” . In particolare l’autore sottolinea la differenza tra una politica molare, dove le soluzioni rispondono a una logica uniformante e centralizzata che appiattisce le differenze e una politica molecolare, in cui “maggioranze e minoranze (…) devono essere declinate al plurale perché non si riferiscono più a un programma di governo molare ma a problemi emergenti più o meno duraturi”. Il ruolo delle minoranze non si ridurrebbe ad una parziale esclusione dai processi decisionali ma consisterebbe nella sperimentazione di soluzioni alternative.

Le esperienze di open source intelligence descritte nel quinto capitolo di questo lavoro, derivate direttamente dal modello di sviluppo open source, costituiscono un primo passo nell’affinamento degli strumenti utili alla costruzione di una sistema di governo più diretto e partecipato.

Sul piano pratico, la sensibilità verso il fenomeno del software libero/open source e la sua adozione da parte delle Pubbliche Amministrazioni sta gradualmente prendendo piede nel territorio italiano. In questo ambito, la provincia italiana che ha compiuto gli sforzi maggiori è Pisa. Indicata da molti come capitale italiana dell’open source, non si è limitata ad adottare questo tipo di software in molti dei propri computer, ma si è fatta promotrice dell’importante convegno “Open Source e Pubblica Amministrazione”, svoltosi nel marzo 2003. Il convegno, che ha preso nell’anno successivo la forma di un forum annuale intitolato “SALPA – Sapere Aperto e Libero nella Pubblica Amministrazione”, ha avuto il merito di occuparsi non soltanto degli aspetti tecnici della questione ma anche di far riflettere sugli aspetti sociali e formativi del fenomeno, giungendo ad occuparsi anche dell’open content (o open source intelligence).

In generale si può dire che la massima diffusione di software libero si ha nel campo dei server web, dei file server e dei database server, in cui le spese per la formazione dei dipendenti sono ridotte, in quanto queste applicazioni funzionano indipendentemente dall’utente finale. Sistemi web realizzati con tecnologie di tipo open source, quali server web (Apache), DBMS (Mysql, PostgreSQL) e Content Management Systems (Plone, Mambo, Open CMS, PostNuke, PhpNuke) sono stati adottati da numerosi comuni e province, come Ampezzo, Udine, Ferrara, Argenta, Padova, Cremona e Imperia.

La Provincia di Cremona si è spinta ancora oltre adottando il sistema operativo Linux, il programma di automazione d’ufficio Open Office, il programma per la posta elettronica Sendmail, Twiggi per il groupware e Putty per l’emulazione di terminale.

La rete telematica ProFeTa, che collega enti e uffici della Provincia di Ferrara, è stata realizzata con un grande apporto di tecnologie open source.

Tra i progetti di respiro più ampio citiamo Progettoconsiglio.it , proposto dal Consiglio Comunale di Venezia, che oltre ad essere un sito di consulenza per l’introduzione delle nuove tecnologie informatiche nelle PA, ha realizzato un software di tipo open source per l’aggiornamento dei contenuti, richiesto da molti comuni dell’area.

La Provincia di Prato, da anni interessata al fenomeno del software libero/open source in virtù della sinergia con alcune associazioni telematiche operanti nel territorio, ha realizzato un servizio di protocollo open source liberamente disponibile in Internet.

PA-Flow, nato dalla collaborazione tra l’AIPA e la Scuola Superiore S.Anna di Pisa, è un progetto per la realizzazione di un protocollo informatico per la gestione documentale.

Care2x, infine, nasce dall’iniziativa di Elpidio Latorilla ed è un software pensato per la gestione ospedaliera, progettato per l’integrazione di vari sistemi informativi all’interno di unica piattaforma basata sul web.

Fornire un panorama veramente esaustivo delle esperienze in atto nelle province e nei comuni italiani non è obiettivo di questo lavoro, sia per la velocità dei cambiamenti in atto che per l’ampia prospettiva adottata: diremo comunque che l’adozione di tecnologie di tipo open source nel territorio italiano è in continua crescita ed è molto probabile che continui in questa direzione.

Il terreno più accidentato rimane, in Italia come altrove, quello del desktop, in cui le spese per la formazione dei dipendenti sono molto alte e possono costituire un ostacolo non indifferente.


Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione:
"Il software libero Open Source. Una dimensione sociale"

di Andrea Todon


- Università degli Studi di Trieste-  
- Facoltà di Scienze della Formazione -
- Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione -

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