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Gli strumenti telematici

Nel primo libro  della sua trilogia intitolata “L’età dell’informazione”, Castells delinea i punti distintivi del nuovo paradigma della tecnologia dell’informazione.

Esso sarebbe caratterizzato dalla presenza dell’informazione in quanto materia prima, sulla quale agiscono le nuove tecnologie e dalla pervasività degli effetti di quest’ultime.

Cruciale è la tendenza all’instaurarsi di una logica a rete nei sistemi e nelle relazioni che utilizzano le nuove tecnologie. L’adozione di quest’ultime e quindi l’ingresso in un sistema reticolare diventa tanto più conveniente in proporzione allo sviluppo della rete stessa, mentre aumenta lo svantaggio per chi ne è escluso.

Un’ulteriore caratteristica è la flessibilità, che permette una “riconfigurazione”  costante della struttura delle relazioni tra le componenti in gioco.

La flessibilità dei sistemi basati sul digitale è stata attentamente analizzata da Negroponte . Nel mondo dei bit vi è la possibilità di non vincolarsi ad una scelta definitiva sul loro impiego, tenendosi aperti a diverse possibilità di evoluzione e di riarrangiamento contestuale. Una caratteristica saliente del digitale è la possibilità di disporre di bit che “parlano” di altri bit, permettendo la catalogazione e il filtraggio delle informazioni. In merito a questo aspetto Negroponte parla di uno spostamento dell’“intelligenza” (rispetto ai meccanismi presenti nell’emissione televisiva o radiofonica) dall’emittente al ricevente.

La tecnologia digitale cambierà la natura dei mass media, nel senso che da una situazione in cui i bit vengono “sospinti” verso l’utente, si passerà ad una in cui sarà quest’ultimo (o il suo computer) a “tirarli” a sé .

E’ innegabile che a partire dagli anni ’80 si sia assistito - con l’introduzione di nuove tecnologie quali il videoregistratore, il registratore a cassette, le videocamere, e poi  negli anni ’90, in cui si sviluppano la tv via cavo e la trasmissione via satellite – ad un processo di “de-massificazione” dell’audience televisivo.

Bisogna però notare che questo processo di decentralizzazione, diversificazione e personalizzazione, intensificatosi con l’avvento del digitale, non ha comportato “una perdita del controllo sulla televisione da parte di grandi imprese e governi.”

Non sembra così confermata la previsione di Negroponte secondo la quale “gli imperi monolitici dei mass media si stanno frantumando in una miriade di piccole imprese.”  Al contrario, “mentre il pubblico si segmentava e si diversificava, la televisione è diventata più commercializzata che mai e, sempre più, un’industria oligopolistica.”

Se il processo di personalizzazione della televisione non ha portato necessariamente ad un maggiore controllo e indipendenza dei cittadini sui mezzi di comunicazione, non dobbiamo rischiare di commettere lo stesso errore nel considerare la rete Internet.

Come suggerito da Castells,
…risulta essenziale mantenere la distanza tra la valutazione della nascita di nuove forme e processi sociali, in quanto indotti e resi possibili dalle nuove tecnologie, e la deduzione delle potenziali conseguenze di tali sviluppi per la società e le persone(…) .

Le varie forme di comunicazione mediata dal computer nate sulla base della piattaforma Internet sono state spesso indicate come tecnologie di libertà.

Questo punto di vista tradisce a nostro avviso una prospettiva deterministica, secondo la quale le tecnologie in sé sarebbero capaci di cambiare (in meglio) persone e organizzazioni. Si considera in questo modo soltanto una parte del processo di innovazione, senza fare attenzione ad un altro aspetto, riguardante il “quadro d’uso” .

Non ci si chiede infatti come le tecnologie vengano cambiate e riadattate dagli utilizzatori per far fronte alle proprie esigenze.

Dobbiamo chiederci quale tipo di interazione si crei di volta in volta tra le componenti tecniche del sistema e le sue componenti umane, perché abbiamo a che fare con una causazione circolare, non una causalità unidirezionale in cui le nuove tecnologie agirebbero sulle organizzazioni migliorandole .

Nel prendere in considerazione la tecnologia di Internet, consapevoli di trovarci di fronte ad un vasto insieme di tecnologie diverse che convergono su un’unica piattaforma, dobbiamo innanzitutto considerare il processo di costruzione dell’immaginario collettivo che ha fatto da sfondo alla nascita e allo sviluppo della tecnologia stessa.

Nell’analizzare il processo di creazione dell’immaginario che è andato a costituire un quadro di riferimento per la nascita e lo sviluppo del personal computer, Flichy  concentra il suo interesse sui gruppi di informatici che, dando vita a circoli, club e riviste, hanno formulato un primo quadro d’uso di questo strumento.

Il personal computer probabilmente non si sarebbe mai sviluppato e diffuso se non fosse stato sostenuto da quell’ideologia comunitaria, strettamente legata alla corrente controculturale dei primi anni ’70, che credeva nella possibilità di mettere il potere dei computer al servizio delle persone e nell’utilizzo di questi in senso antiburocratico.

Flichy evidenzia come anche nel passaggio ad una vera  e propria industria del personal computer il progetto di un computer “conviviale e decentralizzato ” abbia rappresentato un punto di riferimento importante.

La costruzione di un immaginario tecnologico è una attività profondamente sociale, in cui diversi gruppi di attori si confrontano dando vita ad una base culturale comune che costituisce un punto di partenza per gli sviluppi futuri.

All’origine della tecnologia troviamo (…) un complesso di luoghi di socializzazione dove i progetti sono presentati e dove, dal confronto fra le diverse ipotesi, nasce un primo quadro di riferimento.

Approcciandoci a Internet dobbiamo quindi valutare innanzi tutto quali gruppi sociali abbiano preso parte alla costruzione dell’immaginario tecnologico sottostante e quali istanze culturali abbiano proposto, ricordando come i quadri di riferimento non siano cornici statiche ma sistemi dinamici sempre suscettibili di ristrutturazione in relazione agli attori che partecipano alla loro costituzione e al loro sviluppo.

L’idea che Internet sia di per sé una tecnologia emancipante, democratizzante e intrinsecamente pluralistica rischia di mascherare il suo carattere squisitamente sociale tendendo a nascondere i processi costantemente in corso al suo interno.

Dobbiamo però ammettere, giustificando in parte chi fa queste affermazioni, che fino ai giorni nostri Internet ha rappresentato e continua a rappresentare un canale di comunicazione relativamente libero, pluralista, e che permette agli utenti di essere non solo fruitori di risorse ma anche produttori. Questo è dovuto in particolar modo alla presenza di standard aperti e all’ampia diffusione di programmi freeware e open source, che permettono ai piccoli produttori di disporre di strumenti utili per raggiungere i loro obiettivi con costi contenuti.

Le prime soluzioni tecniche adottate nella progettazione della rete originavano da una concezione visionaria che immaginava la nascita di una “rete galattica”  che collegasse ogni luogo e permettesse l’accesso a informazioni e programmi da qualsiasi punto.

Queste concezioni, condivise dai progettisti e dai primi fruitori, agivano come quadro di riferimento per il concepimento degli artifici tecnici. E’ a partire da queste concezioni che si cercò di costruire una piattaforma che potesse essere il più indipendente possibile dalle caratteristiche dei computer ad essa collegati, fornendo degli standard universali che permettessero il collegamento ad essa dei dispositivi più diversi.

Non si trattava soltanto di costruire un dispositivo decentrato a fini difensivi per assicurare la continuità delle comunicazioni in caso di attacco ma, nelle concezioni dei suoi progettisti, di costruire una rete che permettesse la comunicazione tra tutti i cittadini del globo.

L’influenza di queste visioni sui primi fruitori dei network che andavano ad aggiungersi ad Arpanet spingeva verso una concezione della rete come un sistema aperto, che stimolasse l’interoperabilità tra sistemi e il libero scambio di informazione.

Anche con l’ingresso di entità commerciali all’interno della rete le componenti competitive sono sempre state affiancate da una forte componente di cooperazione tra identità differenti. La prima cultura della rete abbracciava un punto di vista volto ad incentivare la proliferazione dei saperi, la contaminazione e l’arricchimento reciproco tra entità differenti, piuttosto che stimolare la chiusura identitaria e la compartimentazione in unità differenti.

Sarebbe  però cecità non notare, a fianco di queste istanze, tuttora presenti nell’ecologia della rete, la presenza di strategie aziendali mirate al controllo e alla segmentazione degli utenti attraverso l’introduzione di standard proprietari.

Una visione deterministica del processo di innovazione tecnologica rischia di farci perdere di vista i processi in corso senza renderci consapevoli del fatto che il futuro degli strumenti telematici, in materia di democrazia e partecipazione sociale, dipende strettamente dall’azione di singoli, gruppi, aziende e istituzioni.

Nell’idea di società dell’informazione, che distinguiamo da quella di società della comunicazione, “si compie la nostra posizione di esteriorità rispetto alla tecnica, similmente a quanto già avvenuto rispetto alla scienza, elemento decisivo per cui si possa realizzare quella dinamica del tutto autocontenuta di mercato e tecnologia.”

La tendenza a proporre tecnologie “invisibili”, apparentemente semplici da usare e allo stesso tempo annoverare tra i vantaggi primari delle nuove tecnologie digitali la possibilità di fornire servizi “on demand” nasconde la volontà di porre l’utilizzatore in una posizione di passività, concependolo come un semplice consumatore di servizi preconfezionati.

Il software libero/open source si fa al contrario portavoce di un punto di vista che rimette in discussione la tecnologia presentandola come qualcosa di inscindibile dalla società, che deve diventare oggetto di dibattito pubblico attraverso la libertà di accesso al suo stesso processo di sviluppo.

L’apertura del processo di sviluppo rende possibile la verifica, l’adattamento ai bisogni collettivi e permette l’apprendimento, andando a costituire una grande risorsa per l’istruzione e la formazione, in ambito scolastico e aziendale.

L’apertura del codice sorgente permette in qualsiasi momento il porting  di un programma a qualsiasi piattaforma, impedendo la formazione di “blocchi” tecnologici che legherebbero gli utenti a determinate aziende con aspirazioni monopolistiche.

L’insieme di queste considerazioni dimostra l’importante ruolo del software libero/open source nella creazione di quegli strumenti, auspicati da Levy, che aiuteranno a  “filtrare i flussi di conoscenze, a navigare nel sapere e a pensare insieme piuttosto che a trasportare masse di informazioni.”


Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione:
"Il software libero Open Source. Una dimensione sociale"

di Andrea Todon


- Università degli Studi di Trieste-  
- Facoltà di Scienze della Formazione -
- Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione -

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